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Racconti dal Kenia

L'esperienza di Stefano Floris

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Sono come rapito dall'uomo che ora passa fra la sua gente gesticolando in maniera frenetica ma consapevole.
Tutti pendono dalle sue labbra e se non fosse che solo da poco ho ripreso a studiare kiswahili farei lo stesso.
Ogni tanto alza il tono di voce e lascia andare un bianco sorriso. La folla che, seduta nelle panche, si stringe attorno a lui... esplode spesso in festose risa.
Credo che questo sia il modo più giusto e diretto di far arrivare un po' di religione, qualsiasi essa sia, dritta nel cuore delle persone.
Trenta minuti di predica sono un'infinita', calcolando anche che ne io ne i miei tre nuovi ospiti capiamo cosa questo sacerdote vada cianciando. Ma non ne perdiamo un attimo.
Così, quando proprio comincio a sperare finisca, un suono di tamburi mi scuote come fossi fatto di polistirolo.
La Sant'Anthony Church di Malindi tutto a un tratto si anima e le persone cominciano a muoversi a ritmo di musica ricordandomi vagamente le alghe al passaggio di un'onda. E come una burrasca di mare fa con una zattera così allo stesso modo quelle centinaia di voci ondeggianti trattano il mio scheletro.
Sarei voluto sprofondare sino al nucleo della Terra nel preciso instante in cui uomini, donne e bambini, uniti da un solo canto, hanno cominciato a danzare a ritmo tribale i loro inni di lode al Creato.
- Dio e' davvero qui ! - ho subito pensato.
Ma volevo nascondermi davvero perché ho realizzato che forse il nostro pregare non è verace e vissuto come realmente succede dentro queste mura.
Accendo la telecamera ma faccio riprese pessime e inutili: non riesco a non guardare ciò che avviene attorno a me se non direttamente coi miei occhi e con la mia pelle.
Un canto festoso finisce e ne inizia subito un altro. Una cinquantina di bimbi sui 10 anni vanno di fronte all'altare e mentre cantano ognuno di loro danza e salta come può, come sa, come sa fare meglio di chiunque passi la vita studiando danza.
Gli adulti anche urlano in maniera perfettamente intonata.
Mi giro alla mia destra e vedo un uomo che stringe in mano un bambino che avrà avuto qualche giorno. Lui danza, sorride e guarda continuamente il cielo e ripetutamente suo figlio. Sorride a entrambi. Sempre.
Vedo una ragazza a tre metri da me esplodere in un pianto inarrestabile. Si porta le mani sul viso e quella che credo sia la mamma la abbraccia e la consola facendo in modo che la sua voce accarezzi le orecchie della sua bambina adulta nonostante il trambusto corale ch'è tutto attorno a noi.
La guardo e faccio per inginocchiarmi e per magari stringerle la mano. Ma mi blocco: - Chi sono io per provare a dar conforto a una persona che soffre così tanto in questo momento ? -
Provo a riestendere lo sguardo verso l'altare ma ormai non posso fare a meno che guardare la ragazza a due passi da me. Ma non è l'unica.
Questa gente sfoga spesso tutto il suo dolore in chiesa e come lei vedo altre persone, madri di famiglia soprattutto, ovunque, asciugarsi le lacrime senza smettere di cantare.
Dal momento del Credo in poi si susseguono canti come antilopi di Tsavo. E ancora urla, danze, grida di gioia. Lacrime, non solo loro. Guardo i miei tre ospiti che si trovano all'altro lato della chiesa rispetto a me e vedo fazzoletti anche in quella direzione.
La ragazza triste ha appena smesso di piangere ma ora si picchia la fronte con la mano destra come a volerle comandare di pensare ad altro.
È realmente disperata.
Ripenso a ieri pomeriggio quando, appena fuori dal Malindi Hospital, ho visto una donna urlare al cielo tutta la sua croce: - La morte di un figlio? - ho subito pensato.
Qui succede spesso e con ritmo incalzante.
E gli ospedali, le possibili cure, sono quasi inesistenti.
Qui si muore per un virus banale.
Si rimane storpi a vita per la rottura semplice di una parte di un arto.
Qui è davvero dura vivere.
Ma chi mi è di fronte in questo momento ride.
Si abbraccia e ride. Dimentica per due ore il mondo esterno. Carica la vita di nuova corrente.
E ti ricarica anche la tua con facilità disarmante.
Un bimbo si gira e mi stringe la mano in segno di pace.
Io e la mia telecamera accesa ci sentiamo piccolissimi e malnutriti: abbiamo mangiato male per 38 anni non assaporando i veri ingredienti della vita.
E adesso però mi viene data una possibilità, tante possibilità quante sono le manine nere che ora, in fila di fronte a me, fanno a gara per venire a stringere le mie, tanto più piccole delle loro.

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