Quarto giorno di lutto e silenzio, senza musica né alcol, in una “Cuba muda” per la morte di Fidel Castro. E la comunità di habaneri presente in Sardegna è triste. E impaurita. Mentre gli esuli e i dissidenti rifugiati negli Usa festeggiano per la morte del dittatore socialista.
Partirà da L'Avana il corteo funebre che raggiungerà Santiago de Cuba dove si svolgeranno i funerali domenica prossima, nel giorno del referendum italiano.
In Sardegna la comunità cubana è ben integrata ma ha terrore di parlare con i giornalisti. Figurarsi di dare nome e cognome: a migliaia di chilometri le orecchie del regime sentono. Soprattutto le parole di chi ha ancora parenti e affetti sull’isola caraibica. Un ragazzo cubano, 27 anni, in un primo momento accetta di chiacchierare. Sotto anonimato. Poi cambia idea: manco col volto coperto accetta di farsi intervistare.
Dopo circa mezz’ora arriva un messaggio su WhatsApp: “Scusami tanto ma questa cosa non me la sento. Tra qualche mese devo fare un viaggio a Cuba molto importante e non mi voglio mischiare. Scusa ancora”.
Avanti un altro, sperando che parli: un sardo che per ragioni di lavoro ha vissuto a Cuba per circa dieci anni. Anche lui non dà nome e cognome: “A Cuba esistono i “capicondominio”. Non si occupano di controllare gli stabili ma hanno il compito di controllare la vita degli inquilini. Cosa fanno, cosa dicono, chi entra, chi esce, quando come e perché. I cubani non pronunciano il nome di Fidel Castro, usano la mimica e si toccano la bocca e il mento per segnalare al proprio interlocutore la presenza di qualcuno che riferirà tutto quello che sente a chi di dovere. Mario, nome di fantasia, racconta della sua avventura al pronto soccorso dell’Avana nel patio di uno stabile fatiscente perché aveva bisogno di alcuni punti di sutura. “Dopo ore mi han ricevuto un medico che mi ha chiesto se avessi portato ago, filo e disinfettante”. E’ il crollo di un mito: la sanità pubblica, fiore all’occhiello della Cuba castrista, non funziona. Anche per mancanza di mezzi.