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Rita Polo (Pd): "Alla crisi si risponde con la rete della solidarietà"

A tutto campo con la nuova presidente della commissione Politiche sociali

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Nuovo consigliere comunale del Pd e appena eletta presidente della commissione Politiche sociali. Chi è Rita Polo?

Sono pedagogista e lavoro da 25 anni come coordinatrice dell’ABC Associazione Bambini Cerebrolesi Sardegna, associazione di volontariato e auto aiuto, diretta dai familiari e dalle stesse persone con disabilità grave;  con loro  mi occupo di politiche sociali e diritti umani, di promozione  e tutela di diritti della vita delle persone con disabilità in ogni ambito; siamo in rete con il movimento delle persone con disabilità e loro familiari e le principali organizzazioni nazionali e internazionali, collaboriamo con esperti e le Istituzioni (attualmente faccio parte del Gruppo ministeriale per l'applicazione della Convenzione ONU sui i diritti delle persone con disabilità e, a livello sardo, della Commissione consultiva regionale per il Fondo della Non autosufficienza);  mi occupo di servizi e di coprogettazione, dei progetti personalizzati di sostegno, che vedono la partecipazione attiva dei diretti protagonisti ai percorsi ai processi che li riguardano, percorsi inclusivi che innalzando la qualità di vita dei singoli e gruppi, migliorano quella di tutta le comunità e società.

 

La profondità e il perdurare della crisi economica hanno ampliato la platea del disagio sociale e hanno messo in evidenza una nuova gamma di bisogni  e di categorie sociali fino a ieri ritenute al sicuro: qual è la situazione di Cagliari sul piano delle emergenze sociali e con quali e quante risorse, non solo finanziarie, dispone il comune per affrontare i problemi e quali sono le priorità;

E’ evidente che le difficoltà ed emergenze sono tante, che i problemi sono complessi da affrontare; la crisi che viviamo tutti,  non è solo economica o sociale, ma anche relazionale ed esistenziale. Credo che i problemi si possano affrontare con le persone e solo se lo facciamo insieme, non restando soli o isolati. Per questo serve l’impegno di ciascuno e fare insieme (cittadini e istituzioni), far crescere la nostra città in equità e solidarietà, intensificando l’azione già avviata con l’amministrazione Zedda precedente, che vede nell’inclusione sociale non un costo ma un motore di crescita e sviluppo, di ben-essere per tutti. Occorre da parte nostra (ora che siamo stati eletti) come istituzione un nuovo forte  impegno, favorire l’apporto di tutte e tutti,  valorizzando le energie positive e iniziative che vi sono in ogni quartiere della nostra città, dei singoli di ogni età, dei gruppi e delle comunità.

 

Rispetto alla precedente esperienza della Commissione, presieduta da Fabrizio Rodin, il quale, tra le varie proposte aveva avanzato, insieme al leader della Base, Claudio Cugusi, l’assegnazione di una social card  da destinare a persone o nuclei familiari bisognosi, per l’acquisto  di beni di prima necessità, magari anche in cambio di lavori socialmente utili, per sottrarre il provvedimento alla logica di mero assistenzialismo, ma inquadrato in un ambito di reinserimento sociale: Lei condivide tale proposta e intende darle seguito?

La Commissione precedente, presieduta da Fabrizio Rodin, ha lavorato egregiamente come riconosciuto da tante parti. Con i Consiglieri attuali, nella prima riunione della Commissione Politiche sociali abbiamo già detto che si deve e può fare meglio. Analizzeremo e rinforzeremo le misure concrete, i programmi efficaci già avviati precedentemente,  ci impegneremo per l’uscita definitiva dall’approccio assistenzialistico (la persona “bisognosa”, destinataria passiva di un aiuto): occorre certamente rispondere ai bisogni delle persone e famiglie più in difficoltà, ma provocare un cambiamento e un miglioramento, possibilmente fino all’uscita dall’emergenza, o povertà; si può e deve migliorare in questo, come servizi sociali, prevedere  progetti personalizzati e il coinvolgimento attivo dei beneficiari di ogni intervento,  anche eventuale contributo economico, nel rispetto delle scelte personali e della dignità umana, in una relazione di reciprocità, di condivisione dei progetti di vita delle persone, di crescita personale e nella partecipazione che riguarda diritti e doveri sociali. Ad esempio anche con nuove soluzioni e politiche dell’abitare previste nel programma della coalizione del Sindaco Massimo Zedda, che ora sono da realizzare, tutti insieme.

Compito delle istituzioni è trasformare la solidarietà in politiche, ma il braccio operativo di ogni sistema di welfare resta il terzo settore, il mondo dell’associazionismo e del volontariato sociale: disponete di una anagrafe delle associazioni? Quali rapporti esistono o necessitano di perfezionamento tra il comune e le associazioni, anche alla luce della trasparenza dei rapporti, di rendicontazioni per i servizi erogati, conoscere di loro le esperienze, chi fa cosa e come lo fa, allo scopo di privilegiare le eccellenze in un settore in cui sono richieste, ma poco osservate, competenza e sensibilità;

Cagliari come sappiamo è davvero ricca di esperienze nell’associazionismo, nel volontariato e delle imprese sociali.  C’è da liberare queste energie positive, sostenere quelle nuove e quelle più mature, per rispondere ai bisogni ed aspirazioni delle persone, cominciando dai più vulnerabili. Ci sono già organizzazioni disponibili e che  offrono la loro collaborazione per il bene comune, e anche presentano delle esigenze, come quelle già note da tempo per le sedi. Il Comune, io penso, può fare molto per collegare le risorse, per costruire la rete e le reti sociali: anche nelle cose apparentemente piccole, come comunicare, informare meglio i cittadini e cittadine su ciò che già c’è; ad esempio fare, oltre l’anagrafe, una “carta” dei servizi accessibile a tutti, con informazioni sui servizi e opportunità, comprendendo non solo quelli comunali e pubblici, ma tutti quelli offerti dal volontariato, dalle imprese sociali e da altri; usando certamente anche i mezzi tecnologici e digitali, ma anche gli incontri e le relazioni dirette fra le persone e con gli operatori, per evitare l’esclusione sociale, promuovendo la partecipazione, li dove si vive la città e nei quartieri, per costruire o ricostruire comunità più solidali.

Serve anche un lavoro continuativo nei tavoli tematici già avviati con il lavoro molto importante iniziato nella scorsa consiliatura e dall’Assessore Luigi Minerba, per la costruzione del PLUS (il Piano locale dei servizi unitari alla persona), proseguire in iniziative già in corso, come la  newsletter di comunicazione; occorre realizzare più “co-progettazione” coi cittadini e cittadine, con le loro organizzazioni, anche un maggior coinvolgimento dei giovani, sulle criticità e i problemi sociali, ma anche più in generale su tutti i settori e aspetti della vita della nostra città.

Disabilità: qual è la dimensione di questo bacino di utenza? Quali sono le richieste più pressanti che provengono da questo settore?  Come intende rispondere alle varie richieste?

A Cagliari le persone con disabilità grave che hanno un piano personalizzato (L.162/98) sono oltre  2000, di cui circa due terzi oltre i 65 anni, e sono quasi 200 i progetti “Ritornare a casa” per i più gravi o meglio, coloro che necessitano di maggiori sostegni, come dice la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Ci sono poi altri interventi, servizi e percorsi di sostegno. Sulla disabilità occorre prima di tutto crescere nella consapevolezza che abbiamo in Sardegna, grazie alla collaborazione fra diretti interessati e istituzioni, un modello d’avanguardia di welfare, con il sostegno ai progetti personalizzati per le persone con disabilità grave e loro familiari, con l’assistenza domiciliare, la possibilità di vivere inclusi in famiglia, nel territorio e nella propria comunità, scegliendo gli interventi (sociali, assistenziali, educativi) e anche i propri operatori o imprese sociali, in un progetto personale, coprogettato coi Servizi sociali comunali; le persone con disabilità sono protagoniste dei servizi che li riguardano, le famiglie si prendono volentieri cura dei propri cari, se sono sostenute dai servizi: è un livello essenziale di assistenza, che non esiste in altre regioni italiane. I contratti e rapporti di lavoro regolari (da rendicontare) hanno consentito l’emersione del lavoro di cura e l’occupazione in questo settore (seppur in gran parte part-time). Si tratta di un’esperienza, un processo culturale e sociale, di de-istituzionalizzazione, di diritti umani in atto, irreversibile, da cui non si torna indietro, di cui dobbiamo essere consapevoli e orgogliosi. Basta guardare con attenzione alla nostra città, abitata e vissuta da persone con disabilità che è diventata più inclusiva: le nostre scuole e l’Università, i mezzi pubblici, i locali, i luoghi ed eventi culturali, il mare, i mercati e gli spazi sociali. La nostra città e società è migliorata.

Non mancano le difficoltà, i problemi ci sono, ovvio. Vi sono delle criticità dovute sia ai fenomeni di impoverimento sociale (la presenza di una o più persone con disabilità all’interno del nucleo familiare rappresenta una delle principali cause di impoverimento), sia alla “gestione” dei progetti, criticità che ricadono prima di tutto sulle persone beneficiarie e i familiari, che ovviamente si rapportano col Comune quale ente più vicino, che però sono anche da mettere in relazione alle competenze regionali, come le garanzie nei provvedimenti e risorse finanziarie, tempi, scadenze e modalità di progettazione dei piani che lasciano persone e famiglie in difficoltà, insieme ai loro operatori. Come anche i problemi dei  carichi di lavoro per gli operatori dei servizi e dell’organizzazione amministrativa comunale. Si può e dobbiamo migliorare. Insieme agli operatori professionali sociali e agli stessi beneficiari e loro organizzazioni.

C’è da fare di più per i servizi sociosanitari integrati, per la salute mentale, per offrire opportunità di entrare nel mondo del lavoro alle persone ora escluse, per i progetti di autonomia e di vita indipendente, anche collegati all’abitare, aprendoci a nuove soluzioni come l’abitare condiviso (alcune sperimentazioni sono già in atto), e rispondere anche a situazioni di diversi tipi di bisogno, di persone sole o anziane o migranti. Sollecitando l’intervento delle altre istituzioni competenti e collaborando con esse.

Immigrazione: gli immigrati presenti in tutto il territorio cagliaritano sono circa 16 mila, di cui la metà, equamente suddivisi tra maschi e femmine, sono residenti in città, con ottimi livelli di integrazione sociale ed economica; tuttavia, anche alla luce delle nuove emergenze, che chiamano in causa diversi livelli di responsabilità, questo è apparso un settore fortemente trascurato, come l’aver sprecato il potenziale comunicativo rappresentato dalla formidabile esperienza della Consulta degli immigrati, abbandonata fino a farla morire di inutilità. Lei ha un progetto di rilancio delle politiche in questo campo, non solo in risposta all’emergenza presente davanti al comune, ma più in generale sui processi di integrazione culturale e civile?

Non ho un progetto mio personale, né purtroppo la bacchetta magica, ma credo che sia attualmente la questione più urgente da affrontare a Cagliari (e ben oltre). Serve l’aiuto di tutti: l’accoglienza è un valore, accogliere le persone migranti rappresenta un’opportunità di sviluppo e per migliorare anche la nostra città. Certamente abbiamo risorse umane, situazioni ed esperienze positive realizzate da cui partire. Anche qui occorre lavorare meglio con la rete istituzionale e sociale, trovare soluzioni inclusive e praticabili localmente. So che il Sindaco è impegnato in questi giorni con la Prefettura, la Regione, le altre istituzioni; così come alcune organizzazioni di volontariato e cittadini e cittadine. Abbiamo già chiesto di essere coinvolti e informati anche come Commissione Politiche sociali per dare il nostro contributo.

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